Introduzione al software libero nella Pubblica Amministrazione¶
Che cos’è il software libero, o open source?¶
Il software si definisce libero o open source se il suo codice sorgente è distribuito agli utenti ed è corredato da una licenza aperta, ovvero una licenza che ne permette il riutilizzo e la modifica per qualsiasi fine da parte di qualunque soggetto (pubblico o privato), richiedendo al più condizioni minimali (come la citazione degli autori originali). In particolare, esiste un ente internazionale (Open Source Initiative) deputato a certificare quali licenze possono dirsi a tutti gli effetti “open source”.
In Italia, questa definizione è presente nella normativa grazie al concetto di “licenza aperta” introdotta nell’articolo 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale. Per maggiori informazioni si può fare riferimento alle “Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni”, Allegato C: “Guida alle licenze Open Source”.
Il software libero e la Pubblica Amministrazione¶
Lo sviluppo aperto aiuta a realizzare software innovativi e sicuri, ragione per la quale soluzioni di software libero sono diventate punti di riferimento per risolvere problemi in quasi tutti i rami dell’informatica. Il software a licenza aperta entra nella Pubblica Amministrazione già nel 2005, anno in cui il legislatore, con la prima versione del Codice dell’Amministrazione Digitale (o CAD), istituisce il “catalogo del riuso” delle soluzioni software e impone protocolli di messa a riuso del software tra le varie amministrazioni.
Questo primo modello, seppur ambizioso, limitava il riuso alla condivisione tra le sole Pubbliche Amministrazioni, relegando la partecipazione delle aziende software a un modello di sviluppo tradizionale. Dalla revisione del 2017, e in particolar modo dalla pubblicazione delle Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni , viene invece assegnato al software “open source” o “software libero” un’importanza strategica per lo sviluppo sostenibile dei servizi pubblici e in generale per l’industria digitale del nostro paese, sia in fase di acquisizione (creando una corsia preferenziale per approvvigionarsi di soluzioni basate su questo tipo di software) che di manutenzione, obbligando le Pubbliche Amministrazioni a rendere disponibile al pubblico qualunque miglioria venga sviluppata per loro conto.
Il nuovo modello di riuso, introdotto dalla riforma del CAD appena citata, semplifica ulteriormente i processi, consentendo di eliminare eventuali accordi bilaterali e utilizzando in via esclusiva le cosiddette “licenze aperte”, rendendo di fatto il software pubblico un bene comune di tutto il Paese. Grazie a questo modello, una pubblica amministrazione (ma anche un cittadino o un ente del terzo settore) può beneficiare delle soluzioni software già sviluppate da altre amministrazioni senza affrontare nuovamente l’investimento da zero.
È ora compito delle realtà industriali supportare la Pubblica Amministrazione nella transizione digitale, ed è nostro compito aiutare le realtà industriali nella creazione di ecosistemi aperti che le facciano diventare gli attori principali di questa trasformazione.
Questo nuovo modello “a sviluppo aperto” è stato creato dopo l’analisi delle migliori pratiche industriali e con la consapevolezza dell’importanza che ricopre la creazione di un ecosistema di know-how che sappia operare in un contesto open source e che coinvolga tutti i soggetti interessati, al fine di effettuare una transizione digitale sostenibile e che generi benefici a tutto il Paese.
Il modello non è appannaggio esclusivo del nostro Paese - con questi presupposti anche molti altri (ad esempio qui le iniziative di Francia, Regno Unito, USA) hanno avviato politiche nazionali per favorire l’uso dell’open source all’interno della pubblica amministrazione.
La licenza aperta, seppur condizione necessaria per creare sistemi di sviluppo aperto, non è infatti da sola sufficiente a realizzare tutti i benefici di un ecosistema di sviluppo. Il legislatore recepisce questo aspetto garantendo al software libero una quasi esclusiva in ambito di procurement pubblico e stabilendo delle linee guida generali per aderire alle migliori pratiche internazionali.
Questa è una guida pratica, per cui non ci dilungheremo ulteriormente in spiegazioni dei benefici strutturali dell’open source (che possono essere reperiti tra i documenti della Commissione Europea e del MITD)
A livello internazionale, l’utilizzo di Free/Libre and Open Source Software (FLOSS) si è molto diffuso e in numerosi casi ha sostituito il ricorso a soluzioni proprietarie chiuse. I vantaggi di questo approccio sono sia di natura tecnica che di natura economica e strategica. Anche a livello europeo, l’attenzione al software libero è molto cresciuta e ha contribuito alla nascita di numerose iniziative. Ad esempio, la Commissione Europea ha promosso diversi programmi finalizzati a favorire il riuso di soluzioni software e la loro interoperabilità (si veda l’iniziativa ISA² o l’osservatorio OSOR) e incentivato l’uso e la contribuzione a progetti open source al proprio interno, come testimonia la strategia 2020-23 della CE. Queste iniziative puntano a migliorare la qualità dei servizi pubblici, aiutare le Pubbliche Amministrazioni europee a ridurre i costi, sviluppare l’economia del territorio e incentivare una maggiore indipendenza geo-politica dai grandi fornitori di tecnologia extra europei.